Pubblichiamo oggi un approfondimento sulla pensione di reversibilità in caso di divorzio.
Massima
Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, è necessaria la titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non già una titolarità astratta del diritto all’assegno, già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
In quest’ultimo caso, infatti, difetta il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell’assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l’assegno una tantum non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare.
Osservazioni
Si riprende il tema della solidarietà post coniugale, ribadendo che l’assegno ha il fine di garantire al coniuge che lo percepisce i mezzi necessari per il proprio sostentamento, ma non si soddisfa una aspettativa sorta in costanza di matrimonio, e che l’assegno di reversibilità non ha funzione perequativa in ragione del contributo apportato dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio dell’altro.
La decisione, pertanto, si inserisce nel solco della più recente giurisprudenza che, pur dando il dovuto rilievo al progetto di vita comune dei coniugi, tuttavia, ritiene che non si possa sostenere che con la celebrazione del matrimonio possano sorgere aspettative tali da determinare, in futuro, una ingiusta locupletazione a vantaggio del soggetto economicamente più debole.
Da un lato, quindi, si conferma che l’assegno divorzile svolge molteplici funzioni in applicazione dei principi di eguaglianza e di solidarietà di cui agli artt. 2 e 29 Cost., e che qualora sia dimostrata l’inadeguatezza dei mezzi di uno dei due coniugi (da accertarsi con rigore utilizzando i parametri indicati dall’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, e verificando, in particolare, se la sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ognuno) deve essere quantificato in modo da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato (come affermato recentemente da Cass. civ., S.U., 11 luglio 2018, n. 18287) e, con riferimento alla pensione di reversibilità, si precisa che tale beneficio ha il fine di consentire l’ultrattività del principio di solidarietà, anche per il periodo successivo alla morte dell’onerato.
Cass. civ., S.U., 24 settembre 2018, n. 22434
Fonte: Il Familiarista