Con la sentenza della Consulta n. 272, depositata lo scorso 18 dicembre si inizia a parlare di un tema molto importante del quale ancora si sa ben poco: la responsabilità dei giudici di valutare l’interesse del bambino nato con maternità surrogata: la decisione di “togliere” o lasciare il bambino nato con madre surrogata non è quindi una cosa automatica ma va valutata in base alla situazione che si viene a creare.
La vicenda.
Il fatto che ha portato a tale dichiarazione prende spunto da una coppia di genitori milanesi che, dopo una grave malattia della donna, si trovavano impossibilitati ad avere un figlio.
La coppia si è recata in India alla ricerca di una madre surrogata. Così, l’uomo ha donato il proprio seme che è stato impiantato nell’ovulo di una donatrice.
Al rientro in Italia, la coppia aveva chiesto la trascrizione agli atti di nascita del bambino che, secondo la prassi indiana, risultava figlio dei due italiani. Tale trascrizione era stata rifiutata dall’ Ufficio dello stato civile di Milano che ha segnalato alla Procura della Repubblica il sospetto che il bimbo fosse nato con la maternità surrogata.
In più, il PM aveva richiesto che il bambino venisse adottato da un’altra coppia perché figlio appunto di una maternità surrogata. Sei mesi dopo però l’esame del DNA ha confermato che il bambino è figlio biologico del padre ma non della madre, alla quale è stato negato il riconoscimento della maternità. A questo punto, la donna ha presentato ricorso contro la decisione, e la Corte d’appello di Milano nel 2016 si è rivolta alla Corte costituzionale perché valutasse la costituzionalità del divieto assoluto di riconoscere i bambini nati con la surrogata, in particolare dell’art. 263 c.c.
La questione tecnica
La Consulta ha stabilito che «non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore» (e quindi non è possibile togliere automaticamente i figli ai genitori che li hanno avuti con la surrogata), ma che neppure questi possano essere altrettanto automaticamente lasciati con loro, ma che per ogni caso il Tribunale dei minori della valutare, con «un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore».
Insomma, la fuga all’estero per avere un bambino non può diventare un escamotage per bypassare le lungaggini del processo di adozione ma, nello stesso tempo, la decisione è a discrezione della legge italiana e va valutata di volta in volta.