Sul tema della fedeltà e della fede il nostro Paese si divide in due per ciò che concerne l’unione delle coppie omosessuali. Infatti, con l’approvazione della legge del 20 maggio 2016, n. 76 (legge Cirinnà, qui il testo completo ) l’Italia è arrivata a una svolta in merito alla regolamentazione e ai diritti delle coppie di fatto ma non si affronta il tema della fedeltà. O meglio, non c’è l’obbligo di fedeltà tra le coppie che stipulano l’unione civile. A differenza del matrimonio classico, tra eterosessuali, gli episodi di infedeltà non costituiscono motivo di separazione in una coppia costitutita da sole donne o da soli uomini.
Sul tema dell’omosessualità la Chiesa e l’opinione pubblica si dividono in due: per la Chiesa infatti non è moralmente accettabile che due persone dello stesso sesso adottino comportamenti promiscui,
che siano cioè dei peccatori. Se in generale l’omosessualità è sempre stata vista di cattivo occhio dalla Chiesa però, si affaccia all’orizzonte un’iniziativa molto discussa nella diocesi di Torino:
“Un ritiro spirituale per insegnare la fedeltà ai Gay”. L’iniziativa nasce dallo slancio emotivo di Don Gianluca Carrega responsabile de “La pastorale degli omosessuali”. “Vogliamo dire che anche i gay meritano la fedeltà”, dichiara contestualizzando e spiegando il valore di un ritiro spirituale organizzato inizialmente per lo scorso 24 e 25 Febbraio.
Ma qualcosa non ha funzionato.
Se inizialmente Monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo della diocesi, aveva dato il via al progetto di Don Carrega, assistiamo qualche giorno dopo a una ritrattazione delle dichiarazioni fatte in precedenza. Il ritiro viene sospeso perché “La diocesi vuole aiutare queste persone, ma non approvare comportamenti o unioni che restano per la Chiesa scelte moralmente inaccettabili”, sostiene l’arcivescovo.
Quindi le dichiarazioni piene di entusiasmo nelle quali la Diocesi polemizzava sul fatto che quanto scritto in materia di fedeltà dalla legge Cirinnà “viene meno un elemento di forte analogia con il matrimonio” vengono improvvisamente ritirate.
Una domanda che sorge spontanea.
Se in un primo momento quindi don Carrega dichiara: «La legge può anche non prevedere l’obbligo di fedeltà ma riflettendo sull’affettività dei gay, possiamo dire che ciascuno merita un amore esclusivo, unico. La legge può decidere quali siano i requisiti minimi, ma noi vogliamo parlare di qualità del rapporto», in un secondo momento attraverso un’intervento a “gamba tesa”, Nosiglia dichiara << Il percorso che la Diocesi ha intrapreso non intende in alcun modo legittimare le unioni civili o addirittura il matrimonio omosessuale su cui la “Amoris Laetitia” precisa chiaramente che “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie neppure remote tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”>>.
La domanda che sorge spontanea è: “Ma perché la Chiesa che notoriamente non approva l’omosessualità come comportamento e stile di vita, vuole adesso indottrinare le coppie omosessuali guidandole verso la fedeltà?”.
A noi è sembrato un paradosso da parte di un’Istituzione che non accetta determinati modi di essere ma che poi interviene cercando di instillare un ulteriore dogma su un assetto familiare che di fatto non reputa degno di sussistenza.
La questione è di certo complessa e pionieri come don Carrega di sicuro cercano di rendere più accettabile la situazione generale cercando di far adeguare la Chiesa ai tempi che cambiano, dove «Una coppia credente che fa un’unione civile dovrà pur portare la sua fede religiosa all’interno della convivenza».